Da alcuni anni pratichiamo la coltivazione di essenze erbacee da sovescio tra i filari delle vigne con l’intento di migliorare la fertilità biologica del terreno.
Si seminano in autunno a file alterne e sempre quelle (non c’è quindi rotazione negli anni per evitare perdita di biodiversità sul filare con innerbimento permanente), piante erbacee in miscuglio formato da circa il 40% da graminacee, 40% brassicacee e 20% leguminose. Le diverse famiglie crescono in simbiosi ed hanno ruoli diversi; le brassicacee (rafano e colza) hanno una apparato radicale tipicamente fittonante, quindi esplorano in profondità il terreno e, alla loro morte, lasciano cavità verticali notevoli che permettono un’ottima penetrazione delle acque pluviali; inoltre, vegetano prima di tutte le altre coprendo rapidamente il suolo e proteggendolo da erosione ed infine fioriscono presto ed abbondantemente richiamando in primavera i pronubi in vigneto (importanti per la loro capacità di indurre la fioritura delle piante) e di alimentare con i pollini i primi insetti predatori che nel proseguo della stagione saranno importanti per controllare le popolazioni di entomofauna dannosa.
Le graminacee hanno un apparato radicale fascicolato molto sviluppato che lavora il terreno in modo molto intenso, rendendolo soffice e permeabile all’acqua ed all’ossigeno; sulle loro radici facilmente si sviluppano in simbiosi molti funghi e batteri utili alla rizosfera; le stesse radici hanno una grande capacità di chelazione, cioè emettono degli essudati che “attorniano”, si legano in modo specifico ai minerali nel terreno al fine di permetterne la mobilità nella soluzione circolante e l’assorbimento radicale anche delle altre specie presenti (rendono quindi disponibili alla vite elementi nutritivi che altrimenti saremmo costretti ad apportare).
In primavera le graminacee hanno una grande capacità di accrescimento e sviluppano una enorme biomassa. Le leguminose, vengono inserite nel miscuglio per la loro famosa capacità di vivere in simbiosi a batteri che fissano l’azoto atmosferico nei tubercoli radicali dove gli stessi batteri si sono “aggrappati”; l’azoto, in situazione di carenza, è noto essere l’elemento nutritivo più limitante l’accrescimento dei vegetali; le leguminose non fanno altro che prenderlo dove ce n’è in grande abbondanza (nell’aria circa il 70%), e lo mettono dove scarseggia o è facilmente dilavabile (il suolo appunto), per renderlo alla loro morte disponibile all’attività di assorbimento delle radici di altre piante.
A differenza della classica tecnica di sovesciamento, che prevede a tarda primavera la triturazione e interramento della vegetazione al fine di favorirne i processi di umificazione e/o mineralizzazione, noi
“schiacciamo” la coltura con uno speciale rullo che provoca un lento dissecamento e conseguente morte delle piante le quali, seccando, creano una sorta di pacciamatura che rimane tale per tutta l’estate proteggendo il terreno da evaporazione e mineralizzazione della sostanza organica. Le radici a loro volta muoiono e umificando nutrono il suolo lasciando numerose cavità all’interno delle quali possono muoversi l’acqua, l’ossigeno, e tutto ciò che è vita.
In autunno, il terreno verrà lavorato in profondità con un mescolamento minimo degli strati e favorendo un certo interramento degli ultimi residui di quella vegetazione secca che potrà così iniziare un nuovo ciclo di umificazione ed arricchimento ammendativo del suolo.